Le battaglie per i diritti di genere vanno combattute tra i banchi di scuola.

Quando ho sentito proferire a un maschio di cultura media la frase “una donna non può vivere da sola. Metti che ha bisogno di un idraulico perché le si rompe lo scaldabagno, lo riceve a casa da sola?”, giuro, ero sobria e quelle parole le ho sentite distintamente. E sulle prime ho riso di gusto perché io ho vissuto con due donne che hanno fatto sempre tutto da sole. E quando a casa abbiamo avuto bisogno di un idraulico per lavori di ordinaria manutenzione, il fatto che si trovasse davanti tre donne sole, non lo ha mai autorizzato a prendersi libertà che andassero oltre la prestazione professionale per cui era stato chiamato.

E, a dirla tutta, quando cresci con due donne che fanno tutto da sole, è inevitabile perdere i confini dei ruoli di genere. Non ci sono cose “per donne” e cose “per uomini”. Ci sono cose “giuste” e cose “sbagliate”, c’è il “bene” e il “male”, c’è “la propria identità” e “quella di chi ti circonda”. E sono uomini, e sono donne.

Quindi sì, ho riso di gusto. Ma poco dopo, mi sono sentita mortificata. Non arrabbiata, mortificata. E non perché ferita in qualche modo nel mio orgoglio di donna, ma perché convinta che a pensarla così non sarà uno solo e non saranno solo uomini.

Diciamocelo tra di noi, oggi che è il 25 novembre Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: le rivendicazioni di genere sono innanzitutto un fatto culturale che non possono essere “calate dall’alto” e funzionano solo in Paesi con un alto livello di scolarizzazione e di coscienza civica. Questa coscienza di genere, ad oggi in Italia, è solo appannaggio di chi ha un livello culturale medio-alto, un fatto di élite. L’istruzione, come mezzo trasversale e aperto a tutti, dovrebbe fare breccia in tutte le fasce sociali, a prescindere dalla possibilità del singolo di avere accesso a un’alta formazione culturale, perché il messaggio deve arrivare tanto alle donne, quanto agli uomini, di ogni fascia sociale e culturale. Fino a che le rivendicazioni di genere avranno la voce di pochi, anche le istituzioni rimarranno sorde al richiamo perché non costituirà una priorità. Solo quando costituiranno un’esigenza collettiva, sarà possibile un’azione più incisiva.

Io non sono femminista, non lo sono per educazione e per principio. Sono convinta che nelle questioni sociali debbano essere responsabilizzati indistintamente uomini e donne e gli strumenti per farlo esistono. Manca la volontà, collettiva e non di genere.

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