Non giocate vicino al pozzo, ci potreste finire dentro.
Mamma Halima lo raccomandava sempre, quando ci sentiva uscire di casa e sapeva che saremmo andati a giocare lì vicino.
Per noi bambini di Molla Eid, il pozzo rappresenta un ritrovo. Molla Eid è un piccolo villaggio di 6 case, le nostre. Il pozzo a Molla Eid è la sola cosa che non sia una casa. Sta lì, a pochi passi da ciascuna porta, nessuno sa chi l’abbia costruito. Nessuno ci fa niente con il pozzo di Molla Eid. Non esistono corde abbastanza lunghe per calare i secchi e raccogliere acqua, sempre che ce ne sia, diceva mamma Halima. Ma l’acqua c’è, noi bambini di Molla Eid lo sappiamo. E’ stato Na’im a scoprirlo, un pomeriggio che non sapevamo a cosa giocare. Ha raccolto un sassolino da terra e lo ha lanciato aspettando poi, seduto sul bordo del pozzo, di sentire qualcosa. Contò fino a 120 poi, finalmente, udì un rumore. ‘Adel vieni presto, mi disse urlando, sempre lì seduto, c’è acqua nel pozzo senti? Come Na’im, raccolsi un sassolino da terra, lo lanciai nel pozzo, mi sedetti sul bordo e contai, fino a 120. Era vero, c’era acqua lì sotto. La scoperta ci incuriosiva o forse ci confortava, perché, se era vero che giocando lì vicino correvamo il pericolo di finirci dentro, nella malaugurata ipotesi fosse successo, tutti noi sapevamo nuotare. La teoria secondo me e Na’im non faceva una piega, Mamma Halima però non sembrava granché confortata dalla notizia. E come risalireste eventualmente? la domanda ci lasciò interdetti, poi Feisal ci raggiunse con una palla sottobraccio, io e Na’im corremmo a giocare e non pensammo più a come risalire dal pozzo. Feisal ha una sorella più piccola, Adila, che è tanto bella e so già che un giorno le chiederò di sposarmi. A lei non piace giocare con noi, rimane vicino al pozzo a coccolare le sue bambole. Adila da grande farà il medico.
Erano giorni spensierati i nostri, prima che arrivassero gli alieni.
Hanno navicelle che sembrano aerei, hanno caschi tondi e tute verdi. La loro lingua non si parla, si urla.
Non so bene come siano atterrati sulla Terra, ma una notte vedemmo tanto fumo e tante luci accendersi laggiù verso Bagdad e strani aerei volare in cielo, poi papà Safy disse alla mamma non c’è più speranza, sono arrivati.
Fu Feisal a raccontarmi degli alieni, aveva letto di loro su un libro che gli aveva regalato suo zio. Sono di tante forme sai? mi disse, e se vogliono possono anche assumere sembianze terrestri, per non fare capire che sono alieni. Giorni dopo, chiesi a mio padre se avesse saputo da che pianeta provenivano, i nostri alieni. Papà mi disse che gli alieni erano Americani e che l’America non sta su un altro pianeta ma dall’altra parte del mondo. Chiesi a Feisal se era possibile che esistessero alieni dall’altra parte del mondo ma lui, fu molto onesto, e ammise che non lo sapeva perché il libro non lo aveva letto tutto, avendolo trovato ad un certo punto piuttosto noioso. Poi gli alieni, arrivarono fino a Molla Eid e fu dura capire che cosa volessero da noi. Entrarono in ognuna delle 6 case del nostro piccolo villaggio, misero sottosopra ogni cosa. Noi tutti stavamo fuori, l’un l’altro vicini, mentre uno di loro diceva Don’t worry! We will give you freedom, peace. Zio Hashim, che parla la loro lingua ma non è un alieno, non capiva perché dovessero mettere tutto per aria per portarci la pace e la libertà. Loro non glielo spiegarono, continuarono a metter confusione per ore. Mamma Halima era molto preoccupata, vedrai che seccatura rimetter tutto in ordine. Quando ebbero finito andarono via. Uno degli alieni, voltandosi a guardare Feisal e Adila, sorrise, poi tirò fuori dalla tasca qualcosa e la mise nelle mani di Feisal. Gomma americana, disse zio Hashim, e Feisal la gettò subito via, terrorizzato all’idea di diventare alieno anche lui.
A Molla Eid tutti sembravano piuttosto sconvolti dall’arrivo degli alieni, tanto che il problema non era più andare a giocare vicino al pozzo quanto star fuori casa. Mamma Halima mi proibì in tutti i modi di andare a giocare con i miei amici, anche loro d’altra parte, costretti a non varcare la porta di casa. Ma mamma ho otto anni, tutti i bambini di otto anni sono fuori a giocare. Mamma Halima non voleva sentire ragioni. Odiavo gli alieni, lo strano concetto di libertà al quale erano abituati. Vidi i miei amici raramente e sempre per poco tempo. Adesso, perfino fare quattro passi da porta a porta era pericoloso. La guerra è guerra, sentì dire una sera a zio Hashim, durante la cena, e non ci si può fidare di nessuno. La frase mi colpì seriamente e volli sapere da zio Hashim se almeno di lui ci si poteva fidare. Zio Hashim sorrise e disse che con lui non valeva la legge della guerra.
Intanto le stagioni si alternavano senza sosta, nemmeno per loro sembrava valere la legge della guerra. Prima arrivò l’estate, poi l’autunno, subito dopo l’inverno fino alla primavera. Dentro le mura di casa, non distinguevo più un giorno dall’altro e tutte le notti, prima di addormentarmi, pregavo Allah di convincere gli alieni a far ritorno nell’altra parte del mondo. Pregai tanto e a lungo, ma con scarso successo. Niente sembrava far desistere gli alieni dal lasciarci in pace. Pensavo al pozzo di Molla Eid, alle partite a pallone con Na’im e Feisal, pensavo ad Adila. Chissà se Adila era cresciuta in quei mesi. Mamma Halima dice che le femmine crescono più velocemente dei maschi. Chissà se, una volta finita la guerra, quando tutti saremmo tornati fuori a giocare, l’avrei riconosciuta. Chissà se l’avrei amata ancora, tanto da chiederle di sposarmi, un giorno, quando saremmo diventati abbastanza grandi entrambi. Più pensavo al mondo lì fuori, a tutte le cose che avrei voluto fare e non potevo, più cresceva dentro di me una rabbia e un odio smisurato nei confronti degli alieni americani. Finì con il rivolgere ad Allah preghiere cariche di rancore, augurandomi per loro le peggiori torture e sofferenze e, non so se fu Allah a voler punire la mia impudenza o furono piuttosto gli alieni a captare i miei vendicativi pensieri, fatto sta che qualcosa nelle mie preghiere andò storto e dovetti pentirmi per tutto il male covato dentro. Un venerdì di marzo, dopo giorni sereni che si sarebbe detto fosse finita la guerra, con due aerei, gli alieni americani volarono sulle povere case di Molla Eid, lanciandoci contro tutto ciò che di spaziale avessero. Durò qualche minuto, che a me sembrò lungo una vita, tutta quella che avevo vissuto fino ad allora. La casa tremava, papà Safy disse di non correr fuori, di metterci sotto i letti, di nasconderci. Zio Hashim mi stringeva a sè, mamma Halima pregava e urlava, invocando Allah e tante altre divinità di cui non conoscevo nemmeno il nome. Io tenevo gli occhi stretti stretti e i pugni chiusi e mi dicevo che non avrei aperto né gli uni né gli altri se prima non fosse finito tutto. Avevo paura che potesse succedere qualcosa a qualcuno, ma mi dicevo che una volta finito tutto, piuttosto che vedere i corpi dei miei esanimi a terra, sarei corso fuori, lontano lontano, e non sarei tornato più a Molla Eid.
Fortunatamente,quando tutto finì, riaprì gli occhi e ritrovai accanto a me mamma Halima, papà Safy e zio Hashim. Tutti interi, tutti vivi. La porta di casa si era aperta, i vetri delle finestre era tutti rotti. Quando fummo certi che gli aerei erano lontani, uscimmo per sapere se il villaggio di Molla Eid fosse tutto sopravvissuto. Fuori trovai Na’im e Feisal. Con loro c’era anche Adila, sempre così bella. Uguale a come l’avevo lasciata ma a me sembrava ancora più bella. Ci corremmo tutti incontro e ci abbracciamo, stretti stretti. Lo stesso fecero i vecchi davanti la porta. Poi, la sorpresa e lo sgomento. Fu Feisal il primo ad accorgersene, guardando verso il pozzo di Molla Eid. Ma dopo il bombardamento, del pozzo non rimaneva altro che cumuli di mattoni, crollati l’uno sull’altro, feriti dal fuoco nemico. Lì sotto, la palla di Feisal, lasciata lì dall’ultima volta che avevamo giocato. Nessuno disse niente, ma per tutti, grandi e bambini, fu istintivo avvicinarsi. Feisal rimase fermo immobile a guardare la sua palla imprigionata lì sotto. Fuori c’era la guerra, le nostre case malamente avevano retto all’attacco di cui nessuno aveva compreso il motivo, ma quando vidi le lacrime, prima lente poi simili a un fiume in piena, che rigavano il viso di Feisal, capì che non c’entravano niente la guerra, il bombardamento e gli alieni americani. E noi, come giocheremo adesso? disse Feisal con un filo di voce. Avevamo perso il nostro gioco più bello e chissà quanto sarebbe passato prima di poter avere un’altra palla con cui giocare, a Molla Eid. Un altro pozzo. Presto Feisal, trasmise la sua tristezza a ciascuno di noi. Ognuno aveva il suo motivo per piangere. Tranne Adila, la mia bellissima Adila. La guardavo, tra un singhiozzo e l’altro, aspettando di approfittare della sua commozione per poterla stringere a me e abbracciarla, ma sembrava indifferente a quello che stava accadendo. Si mise, attenta, a osservare il pozzo, inclinando la testa verso destra, sembrava lo sentisse parlare. Sembrava che il pozzo le stesse suggerendo qualcosa. Pochi istanti dopo , Adila si dirigeva fiera verso di lui e risalendo una dopo l’altra le pietre che lo coprivano, si mise a sedere su quella più alta. Sembrava una profetessa, la profetessa Adila. Noi tutti, lì sotto, aspettavamo un suo cenno, una sua parola e finalmente, la profetessa Adila parlò. Non dovete piangere, disse Adila, la palla di Feisal è qui sotto ma questo non vuol dire che non potremo fare altri giochi. Io vi metterò a disposizione le mie bambole e , se non vi piacciono, ognuno di voi potrà proporre un nuovo gioco da fare. Ci ritroveremo sempre qui, al nostro pozzo e, giorno dopo giorno, inventeremo qualcosa di nuovo e ne stabiliremo le regole. Sebbene nessuno di noi avrebbe accettato di giocare con le bambole di Adila, la proposta ci sembrò ragionevole. A turno, ogni giorno, ciascuno di noi sedeva sulla pietra più alta dell’antico pozzo e faceva la sua proposta. Se veniva accolta, si stabilivano le regole del nuovo gioco e poi si scrivevano per ricordarle quando ci avremmo nuovamente giocato.
Gli alieni, vennero ancora a Molla Eid, ma senza lanciare bombe. It’s a control, dicevano e mettevano sottosopra il nostro piccolo villaggio di sei case, le nostre. Quando andavano via, ci osservavano, sembravano incuriositi dallo strano modo in cui determinavamo i nostri giochi. Noi però degli alieni ci curavamo poco, continuavamo a giocare, mentre loro si impegnavano a dare noi la libertà.
* Molla Eid è il nome di un villaggio della regione di Baquba, a nord di Baghdad dove nel marzo del 2006 furono trovati trenta corpi decapitati.