Se mi lasci non vale. Storia di una radio (con finale annunciato)

Capita!
Se lavori per diversi anni ad una cosa, è plausibile che un giorno qualcuno possa venire da te e, senza darti conto o ragione di nulla, te la porti via.
Capita!
Ed è quasi banale domandarsi il perché e il per come delle cose.
Vi è mai successo?
Poniamo caso che esistano una ventina di persone che da tempo decidono di dedicarsi con tutti i loro sforzi in un progetto che, allo stato attuale, non li frutti nulla, ma ha donato loro un bagaglio culturale e professionale incommensurabile. Credo questo possa essere l’inizio più plausibile per la storia di una “piccola” radio universitaria. O forse, sarebbe più appropriato chiamarlo Epilogo.

Una fine annunciata, con l’assassino svelato a poche pagine dalla conclusione. Quasi scontato, come nei romanzi gialli di bassa lega.
Ci hanno tenuto così, con il fiato sospeso, finché dall’ateneo, non è arrivato un crocco di lanzichenecchi, armati di elenchi e penne, pronti a catalogare quello che è nostro e quello che è vostro.  Un’ipoteca sulla vita, di cui non siamo riusciti a scontare il debito. Il pignoramento di sei anni di onorata carriera.

Così, il primo giugno si cambia aria. Cambia gestore, cambia frequenza. Sino ad oggi, tutti i giorni, dalle 10 del mattino alle 9 di sera, eravamo con voi. Che foste a casa o in macchina, a lavoro o in giro per la città. Era sufficiente sintonizzare la vostra radio su FM 101, qualora foste di Catania, o sul nostro sito, da qualsiasi parte dello spazio- mondo avevate il piacere di sentirci.

Ah, la radio! Che strumento affascinante.
E ve lo dico io, che la radio non ho mai pensato di farla. Innanzitutto, perché non mi piaceva la mia voce. Troppo alta, troppo stridula. Secondo poi, perché di tutto quello che avevo pensato di fare della mia vita, la radio era l’ultima cosa che prendevo in considerazione. Poi, è successo. Inaspettatamente, come manna piovuta dal cielo! Ero a Catania da un mese, forse, dopo un amaro addio a Firenze. Un’esperienza deludente, la prima della mia vita. Trecentosessantacinque giorni passati nel grigiume di una vita universitaria monotona, in una città meravigliosamente prigioniera della storia dei secoli. Eppure una non decide così, a cuor leggero, di rientrare in Sicilia. Noi che passiamo la vita a programmare la nostra migrazione.  Catania il riscatto, la possibilità di ripartire da zero.

Fu una mia compagna del liceo a dirmi che esisteva una radio all’interno dell’università, al Monastero dei Benedettini. Proprio dove ha sede la tua facoltà! Mi presentai in sede, l’aula 24, senza avere né arte né parte. Fu un ingresso caostico, troppo entusiasta, tanto che Giorgio, il solo che trovai là dentro, mi accolse tra il basito e il confuso. Giorgio è diventato uno dei miei più cari amici. Lui, Roberto, Ita, Stefania, Anita, Alberto, Manu, Davide, Erica, Claudia, Ala, Valeria, Emilia, Il Baby, Dario, Oriana, Stefano, erano nomi, facce. Con il tempo diventarono amici, poi una famiglia. A questi nomi se ne sono aggiunti altri, alle solite facce altre facce. Qualcuno è andato via, quasi tutti siamo rimasti.  E ci è servito. Mi è servito!

A ripartire di nuovo, con nuovo entusiasmo. A riscoprire nuovi equilibri. A misurare i miei difetti, a creare legami. Una storia banale, forse. La stessa che si potrebbe raccontare degli anni del liceo. Solo che io non ho mai avuto una classe unita. La formazione professionale sì, abbiamo ricevuto anche quella, come la possibilità di lavorare per il tesserino da giornalista pubblicista. Ma sono cose che, sul piano emotivo, tieni poco in considerazione.

E se domani vi dovessi raccontare della mia esperienza universitaria a Catania, difficilmente vi racconterei dei miei colleghi di facoltà, delle lezioni troppo affollate, più o meno piacevoli, dei professori che ti fanno passare la voglia e di quelli che ti fanno dire di aver fatto la scelta giusta.
Vi racconterei principalmente di noi, di questa piccola realtà che, pian piano, si è fatta strada, sgomitando, nell’ambiente radiofonico catanese. Vi racconterei delle giornate passate in aula 24 anche se non si ha niente da fare, magari con la banale scusa di fumarci una sigaretta tra una lezione e l’altra. Delle mattine passate in redazione e le sere a bivaccare a casa di qualcuno. Delle litigate, che ci sono state, e dei rapporti ritrovati. Degli amori, perché in aula 24 ci siamo innamorati tutti, almeno una volta.

Ve ne parlerei, con aria un po’ nostalgica e con un sacco di orgoglio in petto. E forse potrei risultarvi anche un po’ stucchevole e melensa, e me ne scuso. Io non volevo lavorare in una radio, ma poi l’ho fatto, ho riscoperto me stessa e la mia voce.

Radio Zammù non chiuderà i battenti. Dal primo giugno, su qualche altra frequenza, risentirete il nome a cui in questi anni abbiamo cercato di farvi affezionare. Forse non sentirete più le nostre voci, la nostra musica, le nostre storie. Magari non ci farete caso, e un pomeriggio, mentre siete imbottigliati in mezzo al traffico catanese, facendo nervosamente zapping in radio alla ricerca della “canzone giusta”, sentirete qualcuno fare il nostro nome, allora vi fermerete, ascolterete, direte “beh, alla fine ci sono ancora“. Sarà comunque un’altra cosa. Un’altra storia.

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